La startup CultMeat by UniTo, si propone come chiave di volta nel settore della carne coltivata, riuscendo ad abbattere i costi di produzione. Dalle cellule staminali al prodotto finale: opportunità, limiti e soluzioni nella produzione della carne coltivata.

Un onnivoro, un vegetariano e un vegano vanno a cena insieme… Ottimo inizio per una barzelletta che potrebbe finire con piatti che volano! Il vegano inizia a contestare il vegetariano per gli allevamenti di bovini che servono a produrre i prodotti caseari, il vegetariano allora se la prende con l’onnivoro che mangiando la carne ha bisogno ancor più di allevamenti e l’onnivoro chiude facendo notare al vegano come tantissimi cibi di sostituzione non siano locali e si inquini per il trasporto. Un circolo vizioso infinito, che potrebbe finire se la carne coltivata, ossia la carne prodotta non partendo da animali, ma facendo crescere le cellule in laboratorio, diventasse realtà: un’alternativa etica e sostenibile. 

La carne coltivata: sicura, sostenibile e… costosa

Già vedo qualcuno storcere il naso, quindi facciamo un po’ di chiarezza…

Cos’è la carne coltivata?

Cellule in divisione

“È la stessa cosa della carne tradizionale, ma togliendo dal processo produttivo gli animali”

Ok, capisco che detto così sembra un paradosso. Ripartiamo. Tutti noi siamo costituiti da cellule, partiamo da un’unica cellula staminale, lo zigote. Questa cellula è definita totipotente, in grado quindi di comporre tutti i tessuti del nostro corpo. Man mano che la cellula si divide, l’embrione si forma e le cellule si specializzano. Alcuni geni vengono disattivati, cambiano i livelli di espressione di proteina e ogni cellula si va a specializzare per compiere un compito specifico (ossa, vasi sanguigni, neuroni, muscoli etc.). Una volta che l’individuo è formato, le cellule staminali perdono in parte la loro capacità di differenziarsi, potendo sostituire solo determinati tipi di cellule. Un esempio di questo è la cellula staminale del muscolo, che si trova in uno stato di “attesa” all’interno del tessuto muscolare, viene attivata dopo un danno e va a sostituire la parte di tessuto danneggiata. 

Quello che succede durante la produzione della carne coltivata consiste nel prendere queste cellule staminali e differenziarle solo nelle cellule muscolari. Le cellule iniziali vengono prelevate da un animale, spesso tramite biopsia, facendo sì che il processo sia poco invasivo e salvaguardi il benessere animale. Queste cellule vengono portate in laboratorio, viene stimolato il differenziamento e l’espansione in cellule muscolari e successivamente il processo viene scalato in un bioreattore. Bioreattore sembra un parolone, una cosa da scienziati a noi poco familiare. Ma se vi dicessi che probabilmente avete già consumato prodotti provenienti da un bioreattore? Infatti, uno dei prodotti più comuni è la birra! Il bioreattore non è altro che uno strumento da laboratorio in grado di fornire un ambiente adeguato alla crescita di organismi biologici, come possono essere i lieviti che si occupano di fermentare la birra.

Potremmo dire che invece che far crescere l’animale e scartare tutto tranne il muscolo, facciamo crescere solo quest’ultimo. Risulta già evidente come questo processo sia più sostenibile dell’allevamento stesso.

Ok, ho capito cos’è, ma è sicura?

Assolutamente sì. La carne coltivata permette di diminuire l’uso di antibiotici, utilizzati in maniera massiccia negli allevamenti intensivi, permettendo così di diminuire il rischio di antibiotico resistenza. Inoltre, il processo può essere finemente controllato perché si va a perdere il rischio legato al singolo individuo come particolari varianti e mutazioni che possono emergere dalla riproduzione degli animali. Un altro rischio che si va a diminuire è quello spillover (salto di specie quando si parla di patogeni): morbo della mucca pazza e l’influenza aviaria sono le due degli esempi più famosi legati agli allevamenti. 

Consideriamo inoltre, a riprova della sicurezza del prodotto, che nel 2023 il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti ha approvato la produzione e la vendita di carne di pollo coltivata (vietata nello stesso anno in Italia).

Esempio di bioreattore da 50L. Utilizzato dalla nostra socia Silvia Gattucci in laboratorio, per il monitoraggio di biomassa e fermentazione

È davvero sostenibile?

Si è visto che l’impiego di carne coltivata permetterebbe una diminuzione dell’allevamento intensivo, utilizzando il 95% in meno di terra e il 78% in meno di acqua. Questo ci porterebbe ad avere una diminuzione del 92% delle emissioni di gas serra.

Un’obiezione che spesso viene fatta è che potrebbe togliere posti di lavoro, questo viene contrastato dai numeri che vedono un fatturato di 825 milioni di euro per 150 aziende americane che se ne occupano solo nel 2022. 

Dati sull’impatto della carne coltivata vs allevamenti, dati CultMeat

Il principale problema 

Uno dei problemi principali di questo processo risiede nei costi. Infatti, servono delle infrastrutture come i bioreattori (utilizzati ad esempio anche per fare la birra), personale specializzato e una serie di reagenti molto costosi. Per far crescere ed espandere le cellule staminali, solitamente servono diverse proteine molto costosi (5 milioni di euro al grammo) per via della difficoltà della loro produzione.

Con furore da Torino arriva CultMeat!

Nomi e volti della StartUp CultMeat

“Noi di CultMeat abbiamo sviluppato un metodo basato su tecniche di evoluzione assistita, che ci permette di escludere i fattori di crescita dall’equazione. Il risultato? Un processo economico e facile da scalare”

Queste tecniche, sviluppate in origine per lo studio di cellule cardiache e muscolari, riescono a dare dei risultati sorprendenti. Infatti, modificando radicalmente la metodologia di espansione delle cellule staminali originali evitando l’uso delle proteine per la crescita, si riesce ad abbattere i costi. 

Questa tecnologia permetterebbe di rendere il prodotto più accessibile anche al largo pubblico, inoltre considerando la minor superficie necessaria per coltivare questo tipo di carne rispetto che un allevamento, sarebbe possibile avere siti di produzione locali che renderebbero più sostenibile l’acquisto anche in virtù dell’abbattimento dei costi di trasporto. 

La startup CultMeat attualmente sta svolgendo una campagna di crowdfunding, dopo solo due settimane la StartUp è riuscita a raggiungere il primo obiettivo di 10.000 euro. Adesso puntano a raggiungere i 20.000 euro per ampliare le loro infrastrutture.

Se vuoi sostenerli sul loro sito trovi tutte le informazioni sul progetto e un dettagliato planning di come intendono spendere i soldi del crowdfunding. 

Nel 2100 non ci saranno più allevamenti?

Probabilmente no, questo si tratta sicuramente di un’esagerazione. Negli ultimi anni si è notato una tendenza in crescita per l’attenzione per avere un’alimentazione più etica e sostenibile, e la carne coltivata potrebbe essere uno dei fattori che ci farà essere un po’ più sostenibili. 

Ad oggi il suo consumo è ancora vietato in Italia, ma ci sono molte pratiche che possiamo svolgere per essere più sostenibili. Noi avevamo affrontato il tema in uno degli aperitivi scientifici della prima edizione, se volete potete recuperare qui i tips emersi alla fine per essere più sostenibili. 

Io personalmente sono favorevole al consumo di questo tipo di prodotto e investirei volentieri per supportare aziende innovative che se ne occupano. 

E tu, mangeresti carne coltivata?

Agnese Roscioni

Fonti: 

https://www.nationalgeographic.it/carne-coltivata-in-laboratorio-tutto-quello-che-ce-da-sapere

https://www.ideaginger.it/progetti/cultmeat-coltiviamo-la-carne-per-un-futuro-piu-sostenibile.html

https://www.airc.it/cancro/informazioni-tumori/corretta-informazione/cellule-staminali-2#:~:text=Le%20cellule%20staminali%20sono%20cellule,dare%20origine%20solo%20ad%20alcuni

https://gfi.org