La bioremediation rappresenta una tecnologia emergente e sostenibile per la decontaminazione ambientale, basata sull’utilizzo di microorganismi come batteri, funghi e altri organismi per degradare o trasformare gli inquinanti presenti nel suolo, nell’acqua e nell’aria. Questo approccio innovativo fornisce una soluzione ecocompatibile alle sfide poste dall’inquinamento industriale e dall’accumulo di contaminanti organici e inorganici nell’ambiente. La letteratura scientifica, come riportato da Shukla et al. (2010), Antizar-Ladislao (2010) e Magan et al. (2014), documenta numerosi casi di successo e sviluppi promettenti, dimostrando che la bioremediation non è solo un’opzione praticabile, ma anche una strategia con un notevole potenziale di applicazione su scala globale.

Come funziona la bioremediation

La tecnologia si fonda su principi fondamentali che sfruttano la capacità naturale dei microorganismi di metabolizzare sostanze tossiche, convertendole in composti meno dannosi o addirittura innocui. Secondo Shukla et al. (2010), i processi biochimici alla base della bioremediation includono ossidazione, riduzione, bioaccumulo e mineralizzazione. Questi processi possono essere implementati attraverso interventi in situ, ovvero direttamente nel sito contaminato, o ex situ, previa rimozione del substrato contaminato. La scelta della tecnica dipende dalle specifiche esigenze del contesto ambientale e dalla natura dei contaminanti presenti.

Magan, N., Gouma, S., Fragoeiro, S., Shuaib, M.E., & Bastos, A.C. (2014). Bacterial and fungal bioremediation strategies. Chapter 10.

Le tecniche di bioremediation si classificano principalmente in tre categorie. 

  1. La bioremediation naturale sfrutta microorganismi già presenti nell’ambiente, i quali degradano i contaminanti senza interventi significativi. 
  2. Al contrario, la bioremediation assistita prevede l’ottimizzazione del processo mediante l’aggiunta di nutrienti, ossigeno o microorganismi specifici per accelerare la decontaminazione. 
  3. Infine, la bioaugmentazione introduce microorganismi selezionati o geneticamente modificati per degradare contaminanti specifici, offrendo una soluzione mirata per inquinanti particolarmente difficili da trattare.

Magan et al. (2014) e Vaksmaa et al. (2023) evidenziano inoltre il ruolo crescente dei funghi nella gestione di inquinanti emergenti, sottolineando il loro contributo unico alla diversificazione delle strategie di bioremediation.
Uno degli aspetti più interessanti della bioremediation è rappresentato dai suoi molteplici vantaggi. Innanzitutto, è una tecnologia intrinsecamente sostenibile, poiché riduce l’impatto ecologico associato alle tecnologie chimiche tradizionali, spesso invasive e inquinanti. Dal punto di vista economico, è generalmente meno costosa rispetto ai metodi fisico-chimici, un aspetto particolarmente rilevante per i paesi in via di sviluppo o per interventi su larga scala. La sua versatilità è un altro punto di forza: è applicabile a una vasta gamma di contaminanti, dagli idrocarburi ai metalli pesanti, fino ai pesticidi, rendendola una soluzione adattabile a diversi contesti ambientali. Infine, la bioremediation promuove il miglioramento ecologico, favorendo la rigenerazione degli ecosistemi locali e contribuendo alla biodiversità.

Batteri, funghi e consorzi microbici in aiuto all’ambiente

La bioremediation rappresenta una tecnologia emergente e sostenibile per la decontaminazione ambientale, basata sull’utilizzo di microorganismi come batteri, funghi e altri organismi per degradare o trasformare gli inquinanti presenti nel suolo, nell’acqua e nell’aria. Questo approccio innovativo fornisce una soluzione ecocompatibile alle sfide poste dall’inquinamento industriale e dall’accumulo di contaminanti organici e inorganici nell’ambiente. La letteratura scientifica, come riportato da Shukla et al. (2010), Antizar-Ladislao (2010), Magan et al. (2014) e Vaksmaa et al. (2023), documenta numerosi casi di successo e sviluppi promettenti, dimostrando che la bioremediation non è solo un’opzione praticabile, ma anche una strategia con un notevole potenziale di applicazione su scala globale.

I funghi svolgono un ruolo cruciale nella degradazione di inquinanti organici complessi grazie alla loro capacità di produrre enzimi extracellulari potenti. Secondo Vaksmaa et al. (2023), specie ligninolitiche come Phanerochaete chrysosporium e Trametes versicolor si sono dimostrate particolarmente efficaci nel degrado di sostanze tossiche come i policlorobifenili (PCB) e gli idrocarburi aromatici policiclici (PAH).

https://ilblogdellasci.wordpress.com/2016/06/10/il-biorisanamento-dei-suoli-bioremediation/

Questi funghi utilizzano enzimi come laccasi, manganese perossidasi e lignina perossidasi per rompere le strutture chimiche dei contaminanti. Inoltre, uno degli ambiti più promettenti è l’applicazione dei funghi per trattare inquinanti emergenti, come farmaci, residui di pesticidi e plastificanti. Ad esempio, ricerche recenti hanno dimostrato che i funghi possono degradare efficacemente il bisfenolo A (BPA), un noto interferente endocrino. La loro versatilità è ulteriormente potenziata dalla capacità di crescere in condizioni ambientali estreme, inclusi substrati con basse concentrazioni di nutrienti o in presenza di contaminanti tossici.

https://europepmc.org/article/med/35602036

Parallelamente, i batteri rappresentano un pilastro fondamentale della bioremediation, grazie alla loro diversità metabolica e alla capacità di adattarsi a diverse condizioni ambientali. Antizar-Ladislao (2010) evidenzia come generi come Pseudomonas sp.Bacillus sp.Deinococcus sp. e Rhodococcus sp. siano particolarmente efficaci nella biodegradazione di idrocarburi, solventi clorurati e metalli pesanti. Tra le tecniche batteriche più utilizzate vi sono la biodegradazione aerobica e anaerobica, in cui i batteri sfruttano i contaminanti come fonte di energia, convertendoli in prodotti meno tossici sia in presenza che in assenza di ossigeno.

Tra le applicazioni pratiche più rilevanti della bioremediation batterica troviamo il trattamento di acque reflue industriali, la bonifica di terreni contaminati da petrolio e la rimozione di metalli pesanti da corsi d’acqua.
Un approccio emergente particolarmente interessante è rappresentato dalla bioremediation integrata, che combina l’azione di batteri e funghi. Magan et al. (2014) sottolineano che questa sinergia consente di sfruttare i punti di forza di entrambi i microorganismi: i funghi possono degradare molecole complesse e recalcitranti, rendendole più accessibili ai batteri per una successiva mineralizzazione. Un esempio significativo è l’uso combinato di Trametes versicolor e Pseudomonas putida per la rimozione di contaminanti multi-fasici nei suoli, un approccio che ha mostrato un’efficienza superiore rispetto all’uso di singoli microorganismi.

Risultati fin’ora raggiunti e sfide future

I progressi finora raggiunti evidenziano l’efficacia della bioremediation in diversi contesti. Ad esempio, batteri autoctoni sono stati impiegati con successo per degradare il petrolio dopo il disastro della Exxon Valdez, mentre in India e Cina la bioremediation è stata utilizzata per trattare terreni contaminati da pesticidi e rifiuti elettronici. In Europa, consorzi microbici hanno migliorato il trattamento delle acque reflue urbane, eliminando nutrienti e contaminanti organici.
Tuttavia, persistono alcune sfide. La complessità dei contaminanti, soprattutto nei casi di miscele multi-fasiche, richiede approcci su misura e soluzioni innovative. Inoltre, la necessità di sensori avanzati per monitorare in tempo reale i processi biologici e l’assenza di un quadro normativo chiaro limitano l’adozione su larga scala. 

https://agronotizie.imagelinenetwork.com/difesa-e-diserbo/2024/02/05/tutto-o-quasi-sul-mondo-del-biocontrollo/80964

Le prospettive future includono l’uso dell’ingegneria genetica per creare microorganismi altamente efficienti e l’adozione dell’intelligenza artificiale per ottimizzare i processi. Lo sviluppo di consorzi microbici personalizzati rappresenta un’altra promettente direzione di ricerca.

In conclusione, la bioremediation emerge come una soluzione promettente per affrontare la contaminazione ambientale in modo sostenibile. L’integrazione di funghi, batteri e tecnologie avanzate offre un enorme potenziale per la bonifica dei siti contaminati. Sebbene siano necessarie ulteriori ricerche per superare le attuali limitazioni, la collaborazione interdisciplinare tra scienziati, ingegneri e responsabili politici sarà cruciale per promuovere questa tecnologia verso un futuro più pulito ed ecologico.

Silvia Gattucci

Fonti

Antizar-Ladislao, B. (2010). Bioremediation: Working with Bacteria. Research Article.

Magan, N., Gouma, S., Fragoeiro, S., Shuaib, M.E., & Bastos, A.C. (2014). Bacterial and fungal bioremediation strategies. Chapter 10.

Shukla, K.P., Singh, N.K., & Sharma, S. (2010). Bioremediation: Developments, Current Practices and Perspectives. Department of Applied Mechanics (Biotechnology), Motilal Nehru National Institute of Technology, Allahabad, India.

Vaksmaa, A., Guerrero-Cruz, S., Ghosh, P., Zeghal, E., Hernando-Morales, V., & Niemann, H. (2023). Role of fungi in bioremediation of emerging pollutants. Department of Marine Microbiology and Biogeochemistry, NIOZ Royal Netherlands Institute for Sea Research.

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