Oggi vogliamo parlarvi della “Giornata Mondiale della Terra” o “Earth day”. Si celebra oggi, 22 aprile, in tutto il mondo per sensibilizzare l’opinione pubblica.

L’idea di istituire la giornata della Terra è nata nel 1970, dal senatore americano Gaylord Nelson che si ispirò alle manifestazioni contro la guerra in Vietnam per creare una grande protesta ambientale a livello nazionale.
Il tema della giornata di quest’anno è il ripristino degli ecosistemi. Esso include azioni come la riforestazione, il rewilding, la ricostruzione delle infrastrutture naturali e la coral restoration.

In questo articolo tratteremo principalmente due argomenti riguardanti il nostro pianeta Terra, ossia la Coral Restoration e la riforestazione.

Coral Restoration

Sulla Terra le barriere coralline sono un habitat importantissimo per la biodiversità marina. Con le loro architetture variopinte, le barriere coralline sono uno degli ecosistemi sottomarini più belli, ma anche tra i più vulnerabili. A minacciarle è una miriade di impatti antropici, tra cui: l’inquinamento, la pesca eccessiva, l’impiego di pratiche di pesca impattanti e distruttive e la presenza di specie invasive. Su tutto incombe la grande ombra del cambiamento climatico. Questo, con l’acidificazione dei mari e il riscaldamento delle acque superficiali, causa il cosiddetto “coral bleaching”, ossia lo sbiancamento dei coralli. Ma non tutto è perduto! È, infatti, possibile agire per restaurare le barriere e aiutarle a resistere alle difficoltà.

Le barriere coralline sono costruzioni vive e dinamiche, che continuano a crescere naturalmente anno dopo anno e rappresentano un importante hotspot di biodiversità. Pur coprendo solo lo 0,2% dei fondali marini ospitano, nel complesso, il 25% delle specie. Inoltre, proteggono le coste dall’erosione e sono fonte di sostentamento delle economie locali, sia per le risorse ittiche, che per il richiamo turistico che, in alcuni posti (tra cui le Maldive) è diventato il principale motore economico.

E qui incombe il problema dell’acidificazione dei mari, fenomeno causato dall’aumento delle emissioni di anidride carbonica. Mari e oceani assorbono l’anidride carbonica atmosferica e la convertono in acido carbonico. Ciò, se da un lato contribuisce a mitigare i cambiamenti climatici, dall’altro acidifica le acque. Tutto questo per i coralli è un bel problema, perché l’acido carbonico scioglie il carbonato di calcio che forma le barriere.

L’acido carbonico sta aumentando sopra misura a causa delle attività antropiche.
È anche vero che è normalmente presente nei mari per via degli organismi che li abitano che, respirando, emettono anidride carbonica. In questo caso, però, il problema è risolto efficacemente dalla simbiosi con le alghe unicellulari, ossia le zooxantelle. Grazie alla fotosintesi, le alghe sottraggono l’anidride carbonica e favoriscono la formazione del carbonato di calcio necessario per la costruzione dello scheletro calcareo.

In caso di forte stress, come nel caso di un elevato riscaldamento delle acque superficiali, i coralli perdono questa fondamentale simbiosi: letteralmente espellono le alghe e si ammalano, diventando suscettibili alle infezioni batteriche. Oltre a questo, perdono i colori (per cui il termine “sbiancamento”).

I coralli stanno perdendo, dunque, i loro bellissimi colori e soprattutto la loro fondamentale ricchezza di vita e diversità. Secondo il sesto report sullo stato dei coralli nel mondo, prodotto nel 2020 dal Global Coral Reef Monitoring Network, partenariato internazionale che riunisce i maggiori centri di ricerca sui coralli, tra il 2009 e il 2018 abbiamo perso il 14% delle barriere. Ciò, in termini di proporzioni, equivale alla scomparsa di tutte le barriere australiane. Questo è dovuto a ondate ripetute di eventi di sbiancamento, che non danno il tempo necessario ai coralli di ristabilirsi in modo naturale. Inoltre, i fattori di stress locali (come lo sviluppo delle coste e il conseguente aumento degli inquinanti) mettono a dura prova la capacità di recupero da parte delle barriere malate.

Un segnale positivo, però, viene dal sud-est asiatico, dove nel 2019 si è osservata una netta ripresa delle barriere: un’elevata biodiversità di specie conferisce una maggiore resistenza e una migliore capacità di adattamento. Uno studio condotto alle Hawaii, invece, rivela che i coralli che vivono in acque più pulite sono in grado di resistere e reagire più velocemente alle ondate di calore che provocano lo sbiancamento.

Ecco perché l’intervento umano con le pratiche di ripristino è importante, unito al monitoraggio costante e uniforme dello stato di salute delle barriere e, soprattutto, al portare avanti politiche per la mitigazione degli impatti antropici.

La Terra e la riforestazione

Il bosco non ha bisogno dell’uomo, è l’uomo che ha bisogno del bosco“.
(“Anweisung zum Waldbau” Riflessioni sulla selvicoltura, di Heinrich Von Cotta, 1816).

Sempre riguardante il nostro pianeta, è importante il tema della riforestazione. Ad oggi (insieme alla conservazione della barriera corallina), è una delle principali tematiche che vengono continuamente sensibilizzate con ogni mezzo.

In particolar modo, il caso dell’Amazzonia è il caso finora più discusso in termini di “riforestazione”. Circa un terzo dell’intera Amazzonia è stata danneggiata dall’intervento umano: conservarla non serve più, ora bisogna riforestare per evitare il peggio.

Dal 1985 il bioma amazzonico (la zona della foresta amazzonica più colpita dalla deforestazione) ha perso oltre 870.000 kmq di alberi. Tale estensione è pari a Francia, Regno Unito e Belgio messi insieme. Oltre a provocare un’inevitabile perdita di biodiversità e danneggiare l’habitat di migliaia di specie, la deforestazione influisce negativamente sul clima, trasformando i polmoni verdi del Pianeta da serbatoi di CO2 a pericolosi emittenti.

Il degrado forestale è causato da diversi fattori, tra i quali il disboscamento selettivo, gli incendi e la frammentazione delle foreste

L’area occupata da foreste degradate, ovvero danneggiate ma non rase al suolo, è ancora maggiore e nel 2017 si stimava raggiungesse il milione di kmq. Tra aree deforestate e degradate, nel bioma amazzonico si raggiungono i due milioni di kmq di territorio, pari a circa un terzo dell’estensione totale della foresta amazzonica.

Guardando questi numeri è facile comprendere che è arrivato il momento di riforestare l’Amazzonia. Lo affermano con convinzione gli esperti del World Economic Forum. Essi spiegano come i primi cambiamenti al clima dovuti alla deforestazione siano già visibili nel bioma amazzonico, soprannominato “Arco della deforestazione“.

Ciò che si deve assolutamente evitare è che l’Amazzonia raggiunga un punto di non ritorno, superato il quale la foresta sarebbe irrimediabilmente danneggiata e sopperirebbe il suo ruolo: rilascerebbe oltre 200 miliardi di tonnellate di CO2 nell’atmosfera anziché assorbirla.

È questo che vogliamo davvero per la nostra madre Terra?

Alessia Carradorini

Fonti:
“Una nuova vita alle barriere coralline malate” di Laura Scillitani
Lifegate
Focus
“Coral restoration goes big”, Nautilus
“L’Amazzonia vicino al punto di svolta, da polmone del mondo a savana tropicale”, Greenreport

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