Ispirato dal libro di Peter Brown, Chris Sanders ha dato vita ad un nuovo emozionante film d’animazione: Il Robot Selvaggio. Una incredibile storia tra natura e tecnologia, che ricorda cosa significhi essere gentili.

Miglior film d’animazione dell’anno

Uscito ormai un mese fa, Il Robot selvaggio si è aggiudicato finora il titolo di “miglior film d’animazione dell’anno” e sfido chiunque a spodestarlo!

La Dreamworks Animation e Chris Sanders (Lilo&Stitch, Dragon Trainer, I Croods) hanno dato vita ad un capolavoro, non solo a livello tecnico ma in toto, che entrerà a far parte dei classici e, soprattutto, di quei film che continueranno ad emozionare generazioni su generazioni.

A partire dalla sigla della Dreamwoks, che mostra tutti i grandi successi della casa di produzione, questo è un film che fa piangere. Vi avviso!
(Ad essere sincera, io ho pianto ogni qualvolta mi capitava il trailer al cinema)

Quindi dimenticatevi le grasse risate fatte con Shrek, Madagascar o i Croods. Qui ci avviciniamo di più al “piangiometro” della Pixar/Disney.

Ma, Il Robot selvaggio è un film che fa anche molto riflettere, sorridere, ridere e soprattutto scalda il cuore.

Quindi, fazzoletti a portata di mano e prepariamoci a scoprirlo insieme.

Pronta a ricevere il mio primo compito

In un futuro non precisato, dopo un naufragio, una bellissima famiglia di lontre marine inizia ad ispezionare ciò che la mareggiata ha portato sulla scogliera. Tra i resti, trova e attiva un Rozzum 7134, ovvero un robot femmina che per gli amici è semplicemente Roz.

Come in quasi tutti i film in cui ci sono robot, anche Roz è stata programmata per aiutare l’essere umano, ma purtroppo si ritrova in un ambiente completamente diverso da ciò che le spettava: un’isola selvaggia ed incontaminata, che ha come abitanti “solo” una fauna piuttosto schiva e anche terrificante, ma reale.

Perché dico terrificante? Ovviamente sappiamo tutti che la natura non è un cartone disneyano dove tutti si vogliono bene. Eppure, come Roz, anche noi tendiamo a non accettare ciò che la natura è veramente. Sì, ok, il leone è carnivoro e mangia gli altri animali, ma in quanti davanti ad un documentario dove si vede l’atto di predazione un po’ non si dispiacciono per la preda? In questo film d’animazione, la natura è realistica, esiste la catena alimentare e gli animali cercano di mangiarsi gli uni con gli altri.

Senza farsi scoraggiare, Roz si inoltra contenta nella foresta affermando di essere “pronta a ricevere il mio primo compito”… facendo un casino incredibile, disturbando gli animali, scattando loro foto ricordo per adesivi omaggio con cui tappezza ogni singolo albero o che attacca addirittura sugli animali stessi. Tutto questo, per offrire assistenza.

Quando intuisce che nessun animale comprende la lingua che parla (e viceversa), Roz fa la prima cosa che le permetterà di integrarsi con la fauna e magari a svolgere così il suo compito. Si siede e si mette in “modalità apprendimento”.

Ma come parli?

Quante volte abbiamo desiderato poter parlare con il nostro animale domestico? O capire ciò che gli animali si dicono? Quante volta abbiamo guardato un cane o un gatto e abbiamo detto “gli manca solo la parola”? In realtà loro la parola ce l’hanno, siamo noi che non li capiamo.

Ad esempio, proprio a maggio di questo anno un nuovo studio pubblicato su NatureCommunications suggerisce che il complesso sistema di comunicazione dei capodogli possa essere più simile a quello umano di quanto pensiamo.
Ma non solo. È risaputo che animali della stessa specie riescono a comunicare tra loro e che addirittura ci siano veri e proprio dialetti in base a membri di uno stesso gruppo/famiglia/popolazione. (Spoiler: aspettate il prossimo articolo di Valentina!)

Una cosa a cui diversi ricercatori ambiscono è proprio quella di decifrare il linguaggio di alcune specie animali e, seppur sia un lavoro davvero difficile, forse ci riusciranno grazie all’intelligenza artificiale.

Uno dei sistemi che sembra promettere bene è BEANS (Benchmark of Animal Sounds), sviluppato dalla Earth Species Project (ESP), ovvero una organizzazione no-profit che utilizza l’IA proprio per decodificare il linguaggio animale.

Cosa c’entra con il film? In pratica, quello che la scienza sta cercando di compiere, lo fa Roz ascoltando e studiando gli animali dell’isola per interi giorni, seduta al suo posto.

Per quanto ne sa, tu sei sua madre ora!

Dopo aver finalmente trovato il modo di comunicare con la fauna, Roz capisce che la sua consegna non è andata a buon fine, dal momento che lì, sull’isola, nessuno la vuole. Anzi, viene cacciata in malo modo e depredata dei suoi pezzi da un gruppo di procioni cleptomani. Proprio mentre fugge e cerca di mettersi in salvo, prima dai procioni e poi da un orso infuriato, Roz cambia la storia del film. Cade su un albero e distrugge un nido di uccelli. Dal disastro sopravvive solo un uovo che si schiuderà proprio tra le sue mani robotiche e con cui si instaurerà l’imprinting.

Da questo momento il suo compito sarà prendersi cura del piccolo e “un Rozzum completa sempre il compito che gli dai”.

Ci piace il tuo piccolo, speriamo che non muoia

Ah, a proposito, ho dimenticato di dirvi una cosa. C’è una differenza tra Roz e i soliti robot a cui siamo abituati nei film: lei prova emozioni! Un dettaglio fondamentale, perché da questo momento in avanti ogni decisione presa da Roz sarà dovuta dai suoi sentimenti e non dagli input che un robot dovrebbe seguire.

Così, la nostra Roz diventa madre. Congratulazioni!

Ma come si fa il genitore? Un compito che nessuno conosce. Non ci sono manuali d’istruzioni da poter consultare (per quanto si affannino a scrivere libri sull’argomento). Eppure, gli animali, uomo compreso, lo fanno da sempre. Saranno proprio due animali a far diventare Roz una mamma. La prima è Codarosa, una mamma opossum che cammina per la foresta con addosso ben sette piccoli e che darà tre semplice regole a Roz da seguire:

“Devono tutti mangiare, ma il tuo deve anche nuotare e volare. Oh, volare in autunno. Deve lasciare quest’isola entro l’inverno o…”

Proprio nel tentativo di seguire i tre punti, Roz inizia a crescere il piccolo con l’aiuto della volpe Fink. Ovviamente, tutto evitando che il piccolo muoia.

Insomma, impara cosa dargli da mangiare e cosa no, gli costruisce una casa (dove vivranno tutti e tre insieme), gli dà il nome di Beccolustro, cerca di raccontargli storie della buonanotte (fallendo miseramente). Ma soprattutto gli insegna inconsapevolmente ad essere un robot e non un’oca, cosa che lo porterà ad essere isolato, senza amici nella foresta e ad essere deriso dalle altre oche.

Quando morite non dovete spiegare come è successo!

Ma riavvolgiamo un attimo il nastro, a quando c’è la famiglia di opossum.
STOP!
Esatto qui, quando incontrano il robot e fanno finta di essere morti.

Devi morire più in fretta!
La meningite ci mette un po’.
Voi che avete?
Rabbia. Combustione spontanea. Insalata di belladonna. Sepsi
Ehi, ho io la Sepsi!

Bello immaginarsi gli opossum come attori che improvvisano un tipo di morte diversa ogni volta che incontrano un predatore, ma oltre a riderci su, qui c’è qualcosa di vero.

No, non parlo delle capacità recitative, ma del fatto che fingono di essere morti. Si chiama tanatosi ed è una strategia difensiva messa in atto da diversi animali, dagli uccelli ai pesci. Esiste perfino un articolo del 1990 che testimonia questa strategia nello squalo limone!

Senza dubbio, però, l’opossum ha la fidelity card, tanto è vero che uno dei modi con cui si riferisce a questo comportamento è “fare l’opossum”. 

In pratica cosa prevede: catalessi, immobilità con postura rigida, “flessibilità cerea” degli arti (ovvero, se mossi da una forza esterna mantengono la posizione imposta per lunghi periodi) e mancanza di risposta agli stimoli esterni. Ma, in tutto ciò, l’animale resta perfettamente consapevole di cosa gli accade intorno.

E funziona davvero?

Beh, certamente non fingono solo la morte! Questi animali infatti iniziano anche a defecare, a secernere un fluido maleodorante dalle ghiandole anali. Insomma, non cacciano solo la lingua di fuori, ma fanno di tutto e di più pur di sopravvivere.

Negli opossum americani, addirittura il battito cardiaco diminuisce e la temperatura corporea scende!

Se sei disposto a provarci, puoi volare via

È giunta l’estate e l’autunno si avvicina. Beccolustro è cresciuto, ma ancora non sa volare e nuotare.

Tra le altre cose, Beccolustro non è un’oca come le altre ma ha una mutazione che lo fa essere più piccolo del normale. Un “tappetto” come lo definisce Fink. In natura un animale così sarebbe probabilmente morto subito, ma lui no, perché ha la sua famiglia accanto.

Roz e Fink ingaggiano un istruttore di volo e quando Beccolustro finalmente riesce a volare, un’oca anziana decide di prenderlo con sé, nella sua squadra di migrazione.Già nella recensione di Prendi il volo vi ho parlato a lungo delle migrazioni degli uccelli, ma questa volta voglio mostrarvi un ultimo lato: la formazione.

La famosa formazione a V non viene adottata da tutte le specie volatili, ma soprattutto da uccelli migratori di grandi dimensioni, come gru, cigni e oche!

Questo tipo di formazione prevede una punta centrale con un solo uccello e due code ai lati, che possano avere un numero variabile di individui. Insomma, è un trucchetto che gli uccelli adoperano per una maggior aerodinamicità in volo, soprattutto su percorsi di lunga distanza. Il capofila riduce l’attrito con l’aria a chi lo segue e così via. In questo modo, ogni uccello riesce a sfruttare la scia di quello che sta avanti e risparmia così energia.

Chi sta avanti poi, viene sostituito di tanto in tanto dagli altri facendo un cambio di posto.

Finalmente (tra i pianti dell’intera sala) Beccolustro prende il volo e inizia la sua prima migrazione!
Tutti gli obiettivi di Roz sono stati portati a termine. E ora?

La fine

Giunge l’inverno, gli animali si preparano ad affrontare il letargo protetti dalla neve e Roz si ritrova senza alcuno scopo, di nuovo. Quando il film sembra ormai giunto a termine, ecco che arriva l’uomo e causa danni (attraverso gli altri robot).

Un robot che insegna alla foresta cosa significhi avere umanità, si ritrova a dover combattere proprio gli altri robot mandati dall’umanità.

Un film roboante, in cui le avventure seguono un ritmo crescente trasportando lo spettatore oltre la pellicola, in un mondo immersivo dove i colori vivaci sembrano portare in vita con pennellate la natura selvaggia. Una musica travolgente capace di far sentire le emozioni di un robot come fossero tue. Un film in cui la famiglia eterogenea composta da un robot, una volpe e un’oca cambiano e salvano la loro unica casa.

Ma ora non voglio fare altri spoiler, guardate il film e tornate qui poi, a lasciare il vostro commento!

Ed io sono un robot selvaggio!

Greta L. Cerrone

Fonti: