Ma non sei troppo grande per vedere ancora i cartoni animati?
Una frase ricorrente, che trafigge come una pugnalata e riverbera nella mente di persone che – come me – sono appassionate di anime, manga, fumetti e film di animazione, traendone emozioni. Che voi siate fanatici dell’animazione o meno, non ha importanza! Perché ci sono dei film che dovrebbero essere visti da tutti, a prescindere dall’età che si possiede. È il caso di Inside Out 2, un film marchiato Disney–Pixar, che è ironico, divertente, riflessivo, commovente. Insomma, un capolavoro di intrattenimento che non può essere sminuito con l’etichetta di “cartone animato”, solo perché i protagonisti sono realizzati in CGI e le scene sono adatta ad un pubblico di (anche) bambini.
La protagonista, Riley, è una ragazza di 13 anni preda di quell’uragano di trasformazioni fisiche, psicologiche ed emotive che chiamiamo pubertà. L’immedesimazione è tale che, quello che sembra essere il viaggio nella mente di una adolescente, si trasforma in un viaggio interiore universale in cui ognuno può rispecchiarsi. Le luci della ribalta non sono puntate sui personaggi del film, ma sullo spettatore, che diventa il vero protagonista della storia. Come spesso accade nel mondo dell’animazione, Inside Out 2 non è semplicemente un film per bambini, ma è un’opera d’arte rivolta principalmente gli adulti e al loro bambino interiore, perso negli anfratti di un labirintico subconscio.
Il film diventa una seduta psicanalitica, una lente di ingrandimento con cui scandagliare gli abissi della nostra psiche, un faro che illumina l’oscurità e ci consente di navigare tra gli oceani dell’anima, alla ricerca del proprio senso di sé.
Quale esempio migliore, se non questi, per compiere un incredibile viaggio nella scienza delle emozioni. Se state già preparando le valigie, disfatele! Perché dove andiamo non servono altro che mente e cuore.
Quando nasce l’interesse per le emozioni?
L’interesse per la sfera emotiva parte da molto lontano, grazie al lavoro di un trio famosissimo (non Aldo, Giovanni e Giacomo): Socrate, Platone e Aristotele, secondo cui le emozioni erano “pathe” … non quello che si mangia, ma frammenti del pathos. Insomma, le emozioni erano sinonimo di passioni, intesi come fattori esterni (non interni) che agiscono sull’uomo. Per i greci le emozioni avevano un’accezione negativa, perché l’uomo può diventare preda delle proprie emozioni e agire di impulso.
Dopo un lungo periodo di quiete, l’interesse per le emozioni si riaccende con Cartesio. Per il filosofo, le emozioni sono strumenti per indagare la realtà (come lenti). Tuttavia, appartengono alla sfera irrazionale dell’uomo, che deve rispondere alle leggi della ragione, capace di mitigarne la dirompente magnitudine (come sostenevano i greci). Ancora una volta, è ribadita la supremazia della ragione sull’emozioni umane.
La vera svolta si ottiene nell’Ottocento, quando grazie agli psicologi Peter Salovey, John D. Mayer e Daniel Goleman si incomincia a parlare di intelligenza emotiva. Si sviluppò un atteggiamento culturale più rispettoso e favorevole alle emozioni, che fino ad allora erano considerate materiale di scarto o fattori di disturbo al normale funzionamento della mente.
Questo punto è molto importante perché ribadisce un concetto che non tutti hanno afferrato: esistono molte forme di intelligenza! Fino ad ora, ne riconosciamo nove, ed una di questa è proprio l’intelligenza emotiva.
Le Teorie delle emozioni
Dal novecento in poi, le emozioni vengono messe al centro del dibattito intellettuale, e assumono un’importanza tale da dover essere studiate con metodo scientifico. Oggi, le teorie sulle emozioni si raggruppano in tre categorie principali:
- Le teorie fisiologiche, che suggeriscono come le risposte all’interno del corpo siano le responsabili delle emozioni;
- Le teorie neurologiche, secondo cui le attività cerebrali hanno conseguenze emotive;
- Le teorie cognitive, che affermano come i pensieri possano dare vita alle emozioni.
Tra le teorie che meritano di essere annoverate c’è la “Teoria evolutiva delle emozioni” proposta da Charles Darwin:
“Le emozioni sono un rimasuglio evolutivo, che consentono agli esseri umani e agli animali di sopravvivere e riprodursi.”
Ad esempio, la paura ci consente di scappare dinanzi a delle minacce; oppure, la rabbia ci consente di difenderci dai pericoli.
Poi, c’è la “teoria James-Lange”, proposta dallo psicologo William James e dal fisiologo Carl Lange, secondo cui le emozioni sono il risultato di reazioni fisiologiche agli eventi. Immaginate di camminare in un bosco e di avvistare un orso. Secondo i trend di oggi, sarete più contente di vedere un orso piuttosto che un uomo, ma nella maggior parte dei casi avreste i seguenti sintomi: sudorazione incontrollata, palpitazione, tremolio alle ginocchia… questi cambiamenti fisiologici sono interpretarti dal cervello come paura.
Tuttavia, la teoria James-Lange ha delle falle. In primo luogo, le persone possono sperimentare reazioni fisiologiche legate alle emozioni, senza realmente provarle. Ad esempio, potete avere le palpitazioni di cuore e sudare perché vi siete allenati molto. Quindi, fu proposta la “teoria di Walter Cannon”, secondo cui le emozioni si manifestino simultaneamente alle reazioni fisiologiche.
Seguì la “teoria valutativa” di Lazarus: una teoria cognitiva, in cui il cervello elabora la situazione e dà come risultato una risposta emotivo e fisiologica, contemporaneamente. Se vi trovaste davanti un lupo affamato, avvertireste l’esperienza emotiva della paura e, simultaneamente, le reazioni fisiche associate alla risposta di lotta o fuga.
Infine, c’è “la teoria del feedback facciale”, ovvero le espressioni facciali sono collegate all’esperienza emotiva. Se provate a ridere, dopo un po’ di tempo, il vostro cervello sprigionerà ormoni come dopamina, serotonina e altri responsabili del “buon umore”. Vi sentireste realmente felici, anche se lo stimolo iniziale era di tipo fisico, non emotivo. Questo perché non siamo esseri razionali, al contrario di quanto pensiamo, ma siamo esseri che razionalizzano…quindi, l’atto di sorridere viene interpretato razionalmente in uno stato emotivo giocondo.
Ma cosa sono le emozioni?
Dal punto di vista scientifico, le emozioni sono delle risposte chimiche e neurali a stimoli (esterni o interni). Le emozioni possono essere classificate in due macro-aree:
- Primarie, sono innate, universali e si manifestano nello stesso modo a prescindere dalla cultura di appartenenza. Secondo lo psicologo americano Robert Plutchik, tutti noi abbiamo otto emozioni base, organizzate in coppie di opposti: gioia e tristezza, rabbia e paura, fiducia e disgusto, aspettativa e sorpresa (la maggior parte di queste sono state rappresentate magistralmente da Disney)
- Secondarie, variano da cultura a cultura e sono maggiormente influenzate da aspetti cognitivi, valoriali e dalle contingenze ambientali. Tra le emozioni secondarie troviamo la vergogna, il senso di colpa, la gelosia e la nostalgia.
Che differenza c’è tra emozioni e sentimenti?
Spesso confondiamo i termini “emozione” e “sentimento”, tanto da usarli come sinonimi. In verità, le emozioni forniscono risposte immediate e adattive, mentre i sentimenti hanno un impatto a lungo termine sulla nostra identità emotiva e sul modo in cui interpretiamo il mondo. Quindi, ciò che determina la linea di separazione tra i due è: il Tempo.
Se la risposta avviene in una manciata di secondi, abbiamo le emozioni. Se il tempo di latenza è maggiore, abbiamo i sentimenti; e quando i sentimenti durano anni, si parla di carattere. In sintesi, l’emozione è un brivido che corre lungo la schiena, mentre il sentimento lascia un segno indelebile sulla nostra pelle.
Avete fatto caso che, nel film, non compare un personaggio importante come l’Amore? Eppure è lì, tra le righe. Questo perché l’amore è un sentimento e, in quanto tale, ha bisogno di tempo per sedimentarsi nel cuore.
Esistono emozioni migliori di altre?
Assolutamente NO!
Emozioni come rabbia, ansia, noia sono considerate negative se paragonate a gioia, fiducia, sorpresa. Ma le cose non stanno così! Prendete ad esempio la rabbia, è vero che ci fa star male e ci fa commettere stupidaggini, ma è anche vero che grazie a lei riusciamo a difenderci dai pericoli e siamo pronti a combattere contro le ingiustizie. Oppure l’ansia, che ci consente di programmare e organizzare le nostre azioni, così da farci trovare preparati agli imprevisti futuri.
La noia, tanto amata da Schopenhauer, ci permette di “agire” perché la maggior parte delle cose che facciamo, nascono dal tentativo di strapparci alla noia.
La tristezza, che ci fa sentire così giù di morale, è anche l’emozione che ci consente di entrare in empatia con l’altro.
Forse, non tutti hanno notato che il padre di Riley è guidato dalla rabbia, perché questo gli consente di difendere al meglio tutta la famiglia. Invece, la madre è guidata dalla tristezza, non perché lo sia davvero ma perché le consente di entrare in empatia con Riley. Allo stesso tempo, un sentimento positivo come la gioia, può rivelarsi inefficace in talune circostanze. Lo abbiamo visto nel film, quando anche Gioia non riesce a gestire la crescita di Riley. O ancora, quando perde la sua peculiare positività dinanzi alle difficoltà, che riesce a superare solo attraverso l’aiuto delle altre emozioni.
“Non c’è gioia senza tristezza”È una frase che può passare inosservata, ma che cela un profondo significato: la vita esige la presenza di opposti, spesso complementari. È dai contrasti di luci ed ombre che possiamo vedere più chiaramente i colori della vita. L’uomo stesso è ricco di contraddizioni, che albergano in lui e si scontrano, come frammenti molteplici di un’unica identità. “Siamo uno, nessuno e centomila” (citando Pirandello), esseri frammentati che trovano la loro sublimazione nell’armonica contrapposizione di emozioni diverse.
Ma c’è un campanello di allarme!
Secondo una indagine condotta nel 2022 dall’Agenzia nazionale dei Giovani e Censis, in Italia il 49,9% dei ragazzi tra i 18–25 anni soffre di ansia e depressione. Le cause? Le incertezze economiche, le pressioni sociali e una continua esposizione mediatica sugli allarmanti cambiamenti climatici. Viviamo in un mondo frenetico, con standard irraggiungibili, scarse possibilità di emergere e ancor più basse opportunità di miglioramento. Sentiamo la pressione sin da bambini, prima a scuola, poi all’università e infine al lavoro, dove bisogna performare ad ogni costo.
Inneggiamo così tanto la produttività, che persino le pause sono vissute con senso di colpa. Siamo figli di un dio minore: sottopagati, sfruttati, lasciamo casa dei genitori a 30 anni – in media – per poi pagare mutui interminabili, lavorando fino a “finché morte non ci separi”, senza ottenere uno straccio di pensione.
Viviamo nell’ansia perché pensiamo costantemente al futuro, e l’unico modo per sopravvivere è anestetizzandoci con alcool, social, serie TV…
L’ansia è l’emozione del nostro secolo! E non a caso è stato scelto come protagonista di Inside-out 2. Tuttavia, non possiamo farne a meno, perché è una componente essenziale della nostra esperienza emotiva quotidiana. Funziona come un campanello d’allarme, avvertendoci di potenziali minacce e preparandoci a reagire. Il problema sussiste quando ne siamo preda. L’attacco di panico –rappresentato splendidamente da Disney – è stato esplicativo, quanto commovente.
Infatti, l’eccesso di ansia può causare gravi patologie e disturbi. La chiave per sopravvivere a tutto questo è: Imparare a lasciare andare!
Quella sequela di catastrofici eventi – stile “final destination” – che hai immaginato potessero accadere, non esiste! Quindi, perché preoccuparsi tanto? E se accade qualcosa di spiacevole, pazienza! La vita non è fatta di eventi, ma di accadimenti. E dobbiamo accettarlo, perché va al di là della nostra scarsa comprensione del mondo. Imparare a reagire, con equilibrio e leggerezza, planando sugli affanni e le angosce, e ricordandoci di non avere tutte le colpe se la vita prende una piega sbagliata.
Emblematica è la scena finale, in cui tutte le emozioni partecipano alla costruzione della nuova identità della protagonista. Quei simpatici mostriciattoli non sono semplicemente emozioni, ma sono frammenti della stessa personalità di Riley. In un certo senso, loro sono Riley! Ed è l’intero spettro delle emozioni umane a costruire il suo – e il tuo – personalissimo “senso di sè”.
Cos’è dunque un’emozione?
Un brivido, una scintilla d’amore che batte al ritmo del cuore, un frammento della tua personalissima identità…tutte o nessuna di esse.
Come scriveva Battisti:
“E chiudere gli occhi per fermare qualcosa che è dentro di me, ma nella mente tua non c’è. Capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi emozioni”
Mario Russo
Riferimenti:
– “La scienza dietro Inside Out 2” Giovanni Lucarelli, 03/11/2015
– “La scienza di Inside Out: come il film spiega la mente con un linguaggio accessibile” Federico Durante, 20/12/ 2016
– “The 6 Major Theories of Emotion” Kendra Cherry, MSEd