Dal commercio di specie invasive all’evoluzione assistita per salvaguardare la biodiversità: le soluzioni per affrontare le conseguenze del cambiamento climatico.

Mar Mediterraneo
Mar Mediterraneo (photo credit: pixabay)
Il Mare Nostrum ha la”febbre”

Il Servizio per il Cambiamento Climatico di Copernicus (Copernicus Climate Change Service – C3S), che pubblica mensilmente bollettini che riportano i cambiamenti registrati globalmente nella temperatura superficiale dell’aria e dell’acqua marina, ha recentemente confermato come il mese di luglio 2024 sia stato il mese più caldo a livello globale, secondo solo a luglio 2023.

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Variazione della temperatura (credit: Copernicus)

Nel mese di luglio 2024, la temperatura media dell’aria superficiale ERA5 era di 16.91°C, solo 0.04°C in meno rispetto al massimo stabilito nel luglio 2023.

Nell’ultimo anno la Terra ha sperimentato alcune delle temperature più alte mai registrate da Copernicus. Infatti, ha raggiunto 17.16°C e i 17.15°C tra il 22 e il 23 luglio.

La temperatura media globale tra agosto 2023 – luglio 2024 è di 0.76°C al di sopra della media del periodo 1991 – 2020 e di 1.64°C al di sopra al periodo preindustriale 1850 – 1900.

Nelle regioni temperato-fredde (Nord Europa, Canada, Alaska) la temperatura superficiale marina (SST) è stata di 20.88°C nel mese di luglio 2024. Ciò rappresenta il secondo valore più alto registrato per questo mese. Record mensili di temperatura globale come quelli sopra descritti  si sono verificati già nel 2015/2016, in concomitanza dell’ultimo evento El Niño. Si tratta di un fenomeno climatico periodico che all’incirca ogni 5 anni provoca un forte riscaldamento delle acque superficiali dell’Oceano Pacifico Centro-Meridionale ed Orientale. Questo evento è responsabile degli effetti diretti nell’area interessata, come: inondazioni, alternanza di periodi di siccità e forte piovosità, con perturbazioni che variano a ogni sua manifestazione. INoltre, El Niño è la principale causa della variabilità inter-annuale delle condizioni meteorologiche e climatiche a livello globale. 

Heatwaves, un chiaro segnale del cambiamento climatico

Queste anomalie termiche non sono casuali, ma si tratta di ondate di calore (“heatwaves” per l’appunto). Le heatwaves si manifestano quando la temperatura massima giornaliera supera la temperatura media massima per più giorni consecutivi in una certa area. Negli ultimi anni, si è visto come le ondate di calore si siano accentuate sempre più, in termini di intensità, frequenza e durata. Solo nel 2019, 6 eventi di heatwaves hanno interessato il bacino mediterraneo occidentale. In particolar modo in Mar Adriatico, hanno provocato un flusso di calore fino a 20 m di profondità (normalmente gli scambi di calore avvengono entro i primi metri dalla superficie del mare).

Gli effetti delle heatwaves: dalla balneazione vietata alla scarsità di risorse ittiche, fino alla perdita di biodiversità

Ma perché queste ondate di calore sono così importanti? E quali sono gli effetti?

Tanto più intense e frequenti sono le heatwaves, tanto più il flusso di calore sarà in grado di propagarsi in profondità. In questa maniera viene influenzata non solo la temperatura superficiale dell’acqua, ma viene modificata anche la circolazione delle masse di acqua. Questo può favorire una crescita incontrollata di microalghe, fioriture algali incontrollate, in concomitanza di altre condizioni ambientali (variazioni di salinità, piogge intense, abbondanza di nutrienti). Il risultato? Le tanto temute mucillagini, che già nell’estate 2023, ma ancor di più nel 2024, hanno reso difficile la balneazione e l’attività di pesca, soprattutto lungo le coste dell’Adriatico.

Oltre a ciò, l’aumento di temperatura può modificare la distribuzione e l’abbondanza di alcune specie, incluse quelle di interesse commerciale, con importanti conseguenze socioeconomiche sull’attività. Risale a luglio 2024 la notizia di una moria generale del mosciolo (Mytilus galloprovincialis). Una prelibatezza culinaria, oltre a rappresentare un’importante risorsa ittica delle coste del Conero. Nel 2023 era già stato registrato un calo nell’abbondanza dei mitili lungo le coste, ma quest’anno si è intensificata probabilmente a causa della concomitante presenza di mucillagini in Adriatico.

Un mare sempre più caldo può inoltre favorire la presenza di specie tropicali alloctone (non native del Mediterraneo). Spesso queste vengono trasportate involontariamente dalle imbarcazioni o in entrata dal Canale (artificiale) di Suez. Essendo organismi tropicali, e quindi più termotolleranti e ben adattati alle alte temperature, non solo riescono a sopravvivere in questo nuovo ambiente, ma in alcuni casi riescono a prosperare arrivando a soppiantare le specie locali (autoctone). Tanto le specie native faticano a sopravvivere in un mare sempre più caldo, tanto più le specie alloctone tropicali sono in grado di ambientarsi stabilmente in Mediterraneo. E, così facendo, modifcano la biodiversità locale e la rete trofica. Numerosi sono gli esempi di specie “aliene” registrate negli anni in tutto il Mediterraneo: il pesce coniglio (Siganus luridus), il pesce scorpione (Pterois volitans), il granchio blu (Callinectes sapidus), Caulerpa spp. e molte altre.

Dal laboratorio alla tavola, le soluzioni per mitigare gli effetti delle heatwaves

In Mediterraneo le temperature stanno aumentando il 20% più rapidamente rispetto alla media globale. A questo si aggiungono, poi, l’intenso impatto antropico e le diverse fonti di inquinamento che interessano l’area. È dunque facile capire come ogni agente non agisca singolarmente, ma possa interagire con gli altri causando effetti che possono sommarsi o addirittura intensificarsi. Come fare per cercare di arginare la situazione già critica del Mediterraneo?

Sono diversi gli interventi possibili dai differenti attori. Nell’ambito della gestione delle specie aliene, per limitarne la diffusione molte vengono utilizzate come risorse commerciali destinate a scopo alimentare al posto delle specie native. Uno dei casi più recenti riguarda la commercializzazione del Granchio Blu per il consumo alimentare, trasformando così una minaccia all’ecosistema marino in una risorsa per l’economia locale. Questo permetterebbe anche la costituzione di “micro-filiere”, che coinvolgono le cooperative dei pescatori, i gestori dei mercati ittici, aziende locali di trasformazione e conserviere, distribuzione nel settore della ristorazione e del commercio, affinché il prodotto sia valorizzato al massimo rispetto a prodotti similari ma di importazione extra UE.

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Alcuni prodotti a base di granchio blu del marchio Blueat

Anche la ricerca viene in aiuto proponendo diverse soluzioni innovative per far fronte alle numerose minacce che affliggono il Mediterraneo, dall’inquinamento agli effetti del cambiamento climatico, fino alla gestione e conservazione della biodiversità marina. 

Un esempio è l’Evoluzione assistita, ovvero un approccio che he utilizza tecnologie ampiamente accettate per “accelerare” od “ottimizzare” i naturali processi evolutivi (ad esempio mutazioni casuali, selezione naturale, acclimatazione e cambiamenti nelle comunità di simbiosi microbiche). Questo approccio viene praticato da secoli per migliorare il valore commerciali di specie animali e vegetali.

Dunque, perché non utilizzarlo per la salvaguardi della biodiversità marina?

Se pensiamo alla complessità dei cambiamenti a cui è sottoposta l’ambiente marino, è più che logico capire la difficoltà degli organismi che lo abitano nel sopravvivere e adattarsi.

Proprio per questo, la dottoressa Van Hoppen e il suo team dell’Università di Melbourne hanno sviluppato dei protocolli per sfruttare l’evoluzione assistita per aumentare la tolleranza dei coralli per accelerarne la ricostituzione dopo impatti acuti. I coralli, infatti, sono tra gli organismi marini che più soffrono l’aumento di temperatura e la conseguente acidificazione causate dal cambiamento climatico.

Attraverso la manipolazione genetica dei microrganismi simbionti del corallo, è possibile selezionare comunità con specifiche caratteri e una volta impiantati nei coralli, sono in grado di garantire una maggior tolleranza alle elevate temperature. Successivamente grazie alla riproduzione selettiva è possibile ottenere stock di coralli che presentano il tratto desiderato, destinati ad essere trapiantati nelle zone della barriera corallina più danneggiata, per valutare se e quanto resistano agli impatti (es. aumento di temperatura improvvisa e conseguente bleaching).

Gli studi hanno confermato le potenzialità di questa tecnica, ma ovviamente è necessario continuare ad approfondire la ricerca e per escludere i possibili rischi legati all’applicazione di queste tecniche. Grazie ai nuovi caratteri acquisiti, gli organismi potrebbero diventare più competitivi e resistenti di quelli originali. Altro quesito riguarda la possibilità di applicare queste tecniche con successo anche su altre specie per poter aumentare la capacità di tollerare i cambiamenti climatici. 

È innegabile che l’ecosistema marino debba affrontare numerose sfide e che le risposte avvengono secondo tempi naturali troppo lunghi per fronteggiare le conseguenze del cambiamento climatico. È quindi fondamentale il rapporto tra il mondo della ricerca e la realtà socio-economica per fornire soluzioni innovative che permettano di mitigare gli effetti delle nuove sfide che gli oceani devono affrontare, con l’obiettivo di preservare e tutelare la ricchezza del mondo marino.

Esempi di approcci e tecniche per il restauro delle barriere coralline (Fonte: Emerging Topics in Life Sciences (2022) 6 125–136)

Federica Mongera

Fonti: