Alzi la mano chi, nel guardare il Mar Mediterraneo, ci vede un cavalluccio marino. No? Beh, forse ci vuole un po’ di fantasia, però, quella del Mediterraneo, è davvero una forma particolare. Ma non è sempre stato così!

C’era una volta la Tetide

Come dicevamo, il Mediterraneo, o anche “mare tra le terre”, non è sempre stato così. Anzi, per buona parte della vita della Terra, il Mediterraneo non è proprio esistito!

Tutti sappiamo che in origine c’erano una sola terra (Pangea) e un solo mare (Panthalassa). Ma circa 180 milioni di anni fa, durante il Mesozoico, la Pangea ha cominciato a dividersi.
E si divise in quelli che oggi sono conosciuti come continenti euroasiatico e africano, ma che a quell’epoca erano chiamati, rispettivamente, Laurasia e Gondwana.

In questa maniera si formò la Tetide, che ad oggi può identificarsi un po’ con il Mediterraneo. L’aspetto, come si può anche vedere dalla ricostruzione nella foto, era molto diverso da quello attuale. Primo tra tutti si nota subita l’assenza del nostro Bel Paese! Ma l’evoluzione del Mar Mediterraneo per come lo conosciamo, non ha riguardato solo questo…

Rappresentazione della Paratetide 11 milioni di anni fa. Foto credits: Università di Utrecht e Eurekalert
Rappresentazione della Paratetide 11 milioni di anni fa. Foto credits: Università di Utrecht e Eurekalert
Un mare di deserto

Vi ripropongo la stessa domanda che vi facemmo qualche giorno fa sui social: sapevate che il Mar Mediterraneo per un periodo è stato anche un deserto? Beh, è arrivato il momento di scoprirlo!

Più di 5 milioni di anni fa è avvenuta quella che gli scienziati definiscono crisi del Messiniano. Durante questa crisi, il cosiddetto Mare Nostrum si è prosciugato quasi del tutto: rimasero solo alcune pozze di acqua. Per molto tempo si è creduto che questo fosse dovuto solamente ai movimenti della placca africana che spingeva verso quella euroasiatica. Infatti, secondo questa visione, il movimento di tale placca avrebbe portato alla formazione di una barriera rocciosa tra l’Oceano Atlantico e il Mar Mediterraneo, in corrispondenza dello Stretto di Gibilterra. Ora, essendo l’Atlantico la principale fonte di acqua del Mediterraneo ed essendo un bacino ad alta evaporazione, vien da sé che questo mare, a poco a poco, cominciò a ritirarsi.

Uno studio più recente, in realtà, mostra che anche l’aumento delle calotte polari, quindi l’aumento delle zone di ghiaccio, abbia influito in questo fenomeno. Secondo la teoria, la formazione di ghiaccio avrebbe portato ad un abbassamento del livello del mare, causando una perdita di collegamento tra Atlantico e Mediterraneo.

Insomma, lo scenario è molto complesso, ma quello che è sicuro è che il Mediterraneo si prosciugò e rimase in questo stato per circa 270.000 anni, finché un’inondazione da parte dell’Atlantico portò il Mediterraneo a ricostituirsi.

Ricostruzione del bacino durante la crisi del Messiniano. Foto credits: wikipedia
Ricostruzione del bacino durante la crisi del Messiniano. Foto credits: wikipedia
Un pozzo delle meraviglie

Il Mediterraneo è davvero un piccolo pozzo delle meraviglie. Infatti, con i suoi soli 2,5 milioni di km2 rappresenta meno dell’1% di tutte le acque marine. In questo spazio così piccolo, quasi definibile una pozza d’acqua, sono presenti il 20% delle specie, di cui il 30% sono endemici. Cosa vogliono dire tutti questi numeri?

Prima di tutto che, nonostante le ridotte dimensioni, il Mediterraneo ha una conformazione e delle caratteristiche tali che gli permettono di ospitare un numero davvero alto di specie, permettendo così di avere una grande biodiversità. In più, molte di queste specie sono endemiche, ovvero che si trovano solo in Mediterraneo e da nessun’altra parte.
È il caso della Pinna nobilis e della Posidonia oceanica che vi abbiamo menzionato durante il Mediterranean Day e che hanno una grandissima importanza ecosistemica; cioè contribuiscono al mantenimento e sviluppo di questa biodiversità, grazie a delle caratteristiche che permettono loro di avere questo ruolo.

Una Pinna nobilis in una prateria di Posidonia oceanica. Foto credits: wikimedia commons
Una Pinna nobilis in una prateria di Posidonia oceanica. Foto credits: wikimedia commons
Un hotspot di biodiversità…e di problemi!

Eh già… Perché se da una parte il Mare Nostrum è un piccolo vaso di Pandora, ricco di meraviglie, dall’altro, purtroppo, si può definire un hotspot di problemi. Date le sue dimensioni “in scala” rispetto agli oceani, il Mar Mediterraneo è uno dei primi mari a risentire di eventi avversi come i cambiamenti climatici.

Un esempio è l’innalzamento della temperatura: il Mediterraneo ne risente il 20% in più rispetto al resto degli oceani. Ciò sta portando a quella che viene definita la tropicalizzazione del Mediterraneo. Come suggerisce la parola stessa, il mare tra le terre, comincia ad acquisire dei caratteri tipici dei mari tropicali. In cosa si traduce tutto questo?

Specie aliene, ma non solo…

Ormai si sente sempre più parlare di specie aliene. Ma cosa sono? Pesci con 5 occhi? Polpi con denti aguzzi? Assolutamente no. Le specie aliene non sono altro che specie che provengono da altri mari o oceani. I modi con cui possono arrivare sono vari: acque di zavorra delle navi, correnti e, nel caso particolare del Mediterraneo, il Canale di Suez.

Dall’apertura di questo canale avvenuta nel 1869, non venne facilitato solo il passaggio di navi mercantili, ma anche di un bel numero di specie che non si erano mai viste prima nel Mediterraneo. Fortunatamente, per via della differenza di temperatura tra la parte orientale e quella occidentale del Mediterraneo, queste specie erano rimaste confinate in regioni limitate di questo bacino. Ora, però, con l’aumento di temperatura, le regioni adatte ad ospitare queste nuove specie stanno aumentando sempre di più. Infatti, soprattutto nelle zone più a sud, come Sicilia, Calabria o Puglia, è possibile riscontrare maggiormente queste specie. All’invasione di queste specie si unisce anche lo spostamento di quelle definite termofile, ovvero specie che erano già presenti nel Mediterraneo, ma solo nelle zone più calde, e che ora si stanno espandendo. Un tipico esempio sono i pesci pappagallo.

A sx Pterois miles (una specie aliena) e a dx Sparisoma cretense (una specie termofila)
A sx Pterois miles (una specie aliena) e a dx Sparisoma cretense (una specie termofila)

Purtroppo, però, l’invasione di queste specie e i cambiamenti climatici non sono le uniche problematiche che il Mar Mediterraneo deve affrontare.

Essendo un bacino tra le terre, sono diversi i chilometri di costa che si affacciano su questo mare e ogni anno il numero di turisti che vi passano le loro vacanze è sempre più alto. Questo si traduce in una maggior antropizzazione di queste aree e di un grado maggiore di inquinamento, che si va ad aggiungere a quello già presente per via del traffico marittimo e per gli sversamenti che vi sono di tanto in tanto a causa di incidenti.

Insomma, le sfide che il Mediterraneo deve affrontare non sono poche e nemmeno facili. Venire a conoscenza di queste problematiche e prendere a cuore le sorti di questo prezioso bacino, sono i primi passi da muovere per poterlo proteggere. Ma non basta. Un passo fondamentale in questa tutela e salvaguardia del Mare Nostrum è l’istituzione di Aree Marine Protette (AMP), ovvero delle vere e proprie riserve in cui pesca, turismo e navigazione siano limitati e riadattati nell’ottica della sostenibilità e del ripristino delle risorse marine sovrasfruttate.

Un’impresa ardua se si pensa che al mondo solo l’8% di tutti i mari e oceani è definito AMP. Questo non ci deve scoraggiare, ma far prendere solo misura del fatto che la strada da fare è ancora tanta e che se siamo riusciti ad arrivare a quell’8%, nulla toglie che possiamo arrivare anche al 20, al 30 o, addirittura, al 50%!

Valentina Tavolazzi

Fonti: