È da un paio di settimane che, ormai, si parla della questione Orso-runner, ovvero l’incidente avvenuto nella provincia di Trento che ha visto la morte del giovane runner Andrea Papi a causa di una aggressione da parte dell’orsa JJ4, detta anche Gaia.

Tutti abbiamo sicuramente letto testate giornalistiche o post dei molti che hanno espresso la propria opinione a riguardo, dal comune cittadino, a politici ed influencer. Ma qual è la situazione degli orsi in Italia? Sono davvero così ingestibili?

Per rispondere a domande come queste, noi di Impronta Animale abbiamo pensato di intervistare Filippo Zibordi.

Per chi non lo conoscesse, Filippo è un naturalista ed esperto nella conservazione dei grandi mammiferi. Da più di 20 anni collabora con enti e organizzazioni nell’ambito di progetti di ricerca e conservazione della fauna, con particolare riferimento ai grandi carnivori. Per più di 10 anni ha collaborato con l’Ufficio Faunistico del Parco Adamello Brenta (Trentino), proprio compiendo ricerche scientifiche, attività di monitoraggio e promuovendo iniziative di comunicazione inerenti soprattutto all’orso bruno. Oggi è coordinatore del master “Fauna Human Dimension – Professionisti della Comunicazione per la Fauna, l’Ambiente e il Paesaggio” presso l’Università degli studi dell’Insubria.

Filippo Zibordi
Filippo Zibordi
Life Ursus
Ciao Filippo, siamo felici che tu abbia deciso di rilasciarci questa intervista. Innanzitutto, noi vorremmo partire dalle “origini”, ovvero dal progetto Life-Ursus. Ti va di parlarcene?

Sì, certo. Il progetto Life-Ursus è partito formalmente nel 1996. È stato promosso dal Parco Adamello-Brenta, in collaborazione con la provincia di Trento e con quello che un tempo era l’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica, che oggi si chiama ISPRA. Il progetto è stato approvato dall’UE e cofinanziato nel 1996, ma le sue radici sono molto più antiche.
Già dagli anni ‘30 del secolo scorso, i pionieri della conservazione avevano cominciato ad evidenziare il fatto che gli orsi stavano riducendosi moltissimo sulle Alpi italiane e che si trovavano ormai solo nella zona del Trentino occidentale. Non a caso, proprio per la conservazione di quell’ultimo nucleo di orsi, nel 1998 è nato il Parco Naturale Adamello-Brenta. Dagli anni ’80-’90 si sono tenuti una serie di convegni per attuare un intervento mirato alla salvaguardia dell’orso. Ma il punto di svolta è stato il finanziamento da parte dell’Unione Europea che ha dato origine a questo progetto scientifico del 1996. Da qui ha avuto luogo attraverso alcuni step che riassumono la teoria della conservazione attuale.

Quindi, si è prima di tutto analizzato il problema: quanti orsi rimangono sulle Dolomiti del Brenta. Poi le possibili soluzioni e cosa si può fare per aumentarne il numero. A quel punto si è proceduto, attraverso delle linee guida, con la fase organizzativa. Si è visto che rimanevano solo 2-3 orsi maschi e in quello stato la ripresa della popolazione era sostanzialmente impossibile. Si è poi valutata la possibilità di aspettare che gli orsi facessero semplicemente ritorno dalla Slovenia. La risposta, però, è stata negativa, nel senso che il flusso di orsi è stato giudicato insufficiente per poter salvaguardare la popolazione. Quindi si è arrivati al progetto di reintroduzione.
Fu l’INFS, ovvero l’ISPRA attuale, a decretare che il numero minimo di orsi da prelevare in Slovenia per rilasciarli in Trentino fosse 9, poi diventati 10. In questo modo si sarebbe raggiunta nel breve periodo la popolazione minima vitale costituita da 50 orsi. Il progetto è andato avanti fino al 2000, ma gli studi preliminari non avevano permesso il rilascio di tutti gli orsi, così nel 2001 è stata approvata una seconda fase del progetto Life Ursus, che quindi è terminato poi nel 2004.

La situazione in Italia
Una cosa che abbiamo notato è stato il fare continui paragoni tra la gestione degli orsi in Trentino con quella di altre zone nazionali, come l’Abruzzo, ma anche di altri stati, come i Paesi del nord Europa, Canada e Stati Uniti. Si può parlare, quindi, di un diverso tipo di approccio in base anche al rapporto che esiste tra l’uomo e gli animali selvatici in base al luogo? E poi è giusto fare questo tipo di paragone?

La domanda è molto interessante. Anch’io ho notato che è spesso presentato il modello Abruzzo come vincente contro quello del Trentino, oppure che sono fatti dei confronti con il nord America.

Allora, cominciamo da lontano. Nei parchi americani del nord-ovest la situazione è molto diversa da quella italiana. Lì c’è la wildness, l’uomo deve entrare in punta di piedi. Io sono stato allo Yellowstone qualche anno fa ed è pieno di cartelli su cui c’è scritto “la fauna è pericolosa”, quindi se entri ci vai a tuo rischio e pericolo. Poi, comunque, ti forniscono una serie di prodotti, come il pepper-spray, proprio per difenderti. Qui in Trentino, ma in generale in Italia, la compenetrazione tra i territori occupati dall’uomo e quelli occupati dall’orso è totale. Si tratta di un modello completamente diverso! Sulle Alpi la mano dell’uomo è dappertutto. Magari proprio mentre parliamo, ci saranno migliaia di persone nel bosco a correre, fare legna o altro. Le due situazioni, quindi, non sono paragonabili. Raccontare che i boschi del Trentino sono territorio dell’orso è un po’ una menzogna.

Dall’altra parte, parlando dell’Abruzzo, ci sono delle analogie. Da tantissimo tempo, queste due regioni collaborano per scambiarsi esperienze o informazioni virtuose, ma ci sono anche molte differenze. Già i numeri sono diversi: lì ci sono 50 orsi, qua più di 100 e l’areale degli orsi marsicani è molto più vasto. Quindi in Trentino c’è una densità di orsi maggiore. Poi c’è anche una densità umana maggiore: ci sono più uomini, residenti o turisti, rispetto all’Abruzzo.

Voglio poi sottolineare che si tratta di una sottospecie diversa! In Abruzzo c’è l’orso bruno marsicano mentre in Trentino c’è l’orso bruno euroasiatico. Queste hanno alcune caratteristiche differenti e ultimamente è stato anche provato che l’orso marsicano ha una differenza genetica che lo rende meno aggressivo. In sostanza, al di là delle collaborazioni tra parchi, non è il caso fare questi paragoni.

Secondo Il Post, prima dell’aggressione di questo anno, sono state registrate in Italia solo 7 aggressioni in 150 anni e in nessun caso con esito fatale. Quindi, questo di Andrea Papi è a tutti gli effetti il primo che ha visto, purtroppo, la morte di una persona per via di un orso. Ciò nonostante, sono molte le polemiche sul numero troppo elevato di orsi in quella zona, soprattutto da parte degli abitanti locali che affermano di aver paura e di sentirsi minacciati da questi animali. Ma è effettivamente così? Nonostante la percentuale di casi piuttosto bassa c’è un problema legato al numero di orsi?

Da un punto di vista ambientale/ecologico, gli orsi non sono troppi. Ribadisco che nello studio di fattibilità, il numero minimo stabilito da raggiungere in tempi brevi fosse di 50 individui. Al di sotto di tale numero, la popolazione di orsi rimaneva a rischio di estinzione per fattori stocastici, casuali. Gli orsi sono aumentati e questo è sintomo di un ambiente idoneo dal punto di vista ecologico. Era previsto un aumento di numero e una loro espansione su una superficie più ampia del Parco Naturale Adamello-Brenta con l’obiettivo a lungo termine di una ricongiunzione tra la colonia delle Alpi centrali e quella sorgente della Slovenia. Quindi, il punto di arrivo è lo sviluppo di una meta-popolazione, ovvero una popolazione sorgente in Slovenia e una satellite, ad esempio, in Trentino o in Austria ed altre zone. Proprio per la capacità portante dell’ambiente, gli orsi non sono troppi.

Nel momento in cui non ci sono abbastanza risorse per tutti gli orsi presenti in un determinato territorio, sono loro stessi ad entrare in un processo di dispersione, ovvero vanno ad occupare territori limitrofi capaci di soddisfare le loro esigenze. In realtà, questo sta avvenendo da parecchi anni: molti orsi
si sono spostati dal Trentino. Ce ne sono 4-6 che gravitano in Lombardia, 3 sono andati in Slovenia, almeno 3 sono arrivati in Svizzera, 1 in Baviera ed un altro in Val d’Ossola. Quindi, l’espansione della specie sta avvenendo in maniera naturale, quello che è ancora un po’ lento è l’espansione delle femmine. Nel senso che i casi riportati sono nella maggior parte attribuibili a maschi. Loro vanno in giro ma nel periodo riproduttivo tornano dove sono le femmine e questo crea delle densità abbastanza elevate in alcuni periodi dell’anno. Però, quello che sta avvenendo era stato del tutto previsto, cioè che gli orsi sarebbero cresciuti per poi espandersi sul territorio.

Quindi, il vero problema è il numero di orsi socialmente accettabile?

Esatto! Nel senso che un conto è quanto l’ambiente può tollerale ed un altro è quanto può l’uomo. Quella che possiamo definire densità socialmente accettabile dipende da svariati fattori, in particolare dalle decisioni politiche. Per esempio, i sistemi di prevenzione funzionano? Se funzionano, la gente sarà più pronta alla convivenza con gli orsi; se invece nessuno ti risarcisce i danni, nessuno li vorrà. A questo punto spezzo una lancia a favore della provincia di Trento, che ha sempre gestito in modo tutto sommato adeguato sia la prevenzione dei danni e sia la rifusione.

Dall’altra parte, però, c’è tutto quello che attiene la paura e la percezione di un carnivoro. Se parliamo del dato oggettivo da voi ricordato prima, ovvero di 8 aggressione in 150 anni di cui una mortale, dal punto di vista statistico si tratta di un dato irrilevante. Ci sono tantissime altre cause, tantissimi altri rischi che affrontiamo ogni giorno con un’incidenza maggiore e di cui magari non ci rendiamo conto.
Per dirne una: salire in macchina è molto più pericoloso dell’andare in un bosco dove vi sono degli orsi. Ma sappiamo anche che la paura dipende dalla percezione e questa dipende a sua volta da quello che sentiamo dire. Senza alcun dubbio negli ultimi anni le voci che sono arrivate sono tutte contrarie all’orso e, dopo la tragica morte del cittadino di Caldes, c’è stata una emotività che è stata cavalcata in maniera strumentale dai mass-media e dai politici. Questo ha fatto sì che le genti, qui in Trentino dove vivo anche io, siano spaventate in maniera anche irrazionale: ovvero la paura di incontrare un orso ha raggiunto livelli che non sono giustificati, razionalmente, dal pericolo reale che gli orsi pongono all’incolumità.

Politica, mass-media e disinformazione
Certo, fa davvero tanto anche il come viene presentato il problema. A tal proposito, siccome è importante la percezione della popolazione, ci sono delle azioni che i governanti locali possono fare?

Intanto, al momento, i politici locali dovrebbero smettere di soffiare sul fuoco! Da quando c’è stata la tragica morte del ragazzo di Caldes, sono state mandate informazioni anche sbagliate come che gli orsi siano troppi o, addirittura, che 50 fosse il numero di orsi massimo e che quindi si è perso il controllo del progetto. In realtà, come abbiamo già detto, non è così. Quello è il numero minimo, non massimo!

Dovrebbero, quindi, smettere di disinformare dipingendo gli orsi come dei sanguinari spietati, perché questo sta creando in Trentino un’isteria collettiva. Ciò determinerà tantissimo lavoro per riportare i dati all’oggettività. Senza alcun dubbio questa paura, questa emotività, è legittima, ma spetta poi al legislatore riportare la scienza sul tavolo parlando dell’entità del fenomeno in vicinanza alla famiglia e alla comunità che ha subito la perdita. Poi, andrebbe fatta molta più comunicazione sull’orso. Ricordare che è un animale selvatico, né buono né cattivo, poco aggressivo ma che può diventare tale nel momento in cui si sente minacciato.

Infatti, proprio intorno a questa vicenda, si è scatenato un vero dibattito mediatico. C’è stata una netta scissione di pensiero sui social, in tv e a livello politico. C’è chi, in un certo senso, sta dalla parte dell’orso e chi no, soprattutto dopo la decisione di voler catturare e abbattere l’orsa JJ4. Il Presidente della Provincia autonoma di Trento, Fugatti, ha dichiarato più volte di essere deciso a voler rimuovere gli orsi definiti problematici e per questo ha anche firmato il decreto per l’abbattimento dell’orso MJ5, detto Johnny, ritenuto responsabile dell’aggressione di un uomo il 5 marzo dell’anno scorso. Tu cosa ne pensi a riguardo?

Questo è in realtà un termine corretto, derivante dai protocolli alla base del progetto Life Ursus. Quindi le linee guida del 1998 e il PACOBACE (Piano d’Azione per la Conservazione dell’Orso Bruno sulle Alpi Centro-orientali) del 2010 hanno identificato dei comportamenti dell’orso che vanno a problematicità crescente.

“Problematicità” è un termine che si riferisce, ovviamente, ai rapporti con l’uomo: esiste proprio una tabella che prevede 18 comportamenti dell’orso a cui corrispondono delle contromisure da parte dell’ente pubblico. Gli orsi possono essere definiti problematici se fanno parecchi danni, oppure se hanno un comportamento pericoloso per la comunità pubblica. Quindi è un termine usato dagli zoologi che hanno lavorato per il progetto Life Ursus.

Orsi problematici
Rimanendo sugli orsi problematici, abbiamo letto che vengono poi rinchiusi all’interno del Centro Faunistico di Casteller, dove già risiedono M49/Papillon e la femmina DJ3. Volevamo quindi chiederti: che tipo di struttura è?

Un attimo, qui va fatta un po’ di chiarezza. Per gli orsi problematici sono previste delle azioni energiche, come dicevo poco fa. Questo significa che è prevista una rimozione. Secondo il PACOBACE, questa rimozione può essere fatta in due modi: tramite abbattimento o tramite la captivazione permanente. Il Casteller non viene citato in nessun documento! È chiaro che la captivazione permanente deve avvenire in una struttura che sia adeguata a evitare la fuga dell’orso e, quindi, finora parte degli animali nella provincia di Trento sono stati portati nella struttura del Casteller.

Quindi, per capire meglio. L’abbattimento sarebbe l’ultima spiaggia? Nel senso, si prova prima la captivazione e poi, in casi estremi, si passa all’abbattimento dell’animale?

No, sono due possibilità alternative. Il PACOBACE dice che gli orsi problematici vanno rimossi dal territorio. Questa azione deve essere fatta per due motivi: per l’incolumità dell’uomo ma anche per gli altri orsi, così da garantire anche la loro conservazione! Una volta rimosso l’esemplare problematico, lascio alla sensibilità di ognuno di noi valutare se per un animale abituato a vagare per decine di km ogni giorno, che mangia tra le 7000-10000 kcal al giorno, spinto dagli odori, dai rumori, che cerca di accoppiarsi, sia meglio l’abbattimento o la reclusione in una struttura per la captivazione permanente, dove i suoi istinti vengono castrati, per quanto il recinto possa essere grande. Può essere brutto o cinico dirlo, ma io ho dei dubbi su cosa sia meglio per un orso selvatico che non potrà mai più rivivere la libertà in natura.

Gaia, JJ4
Gaia è stata catturata, se non sbaglio, il 18 aprile insieme a due dei suoi tre cuccioli. Quello che ora sappiamo è che ci sono diverse proposte per portare JJ4 in santuari o aree protette di Paesi all’estero, ma la domanda che ci sorge spontanea è: che fine faranno questi cuccioli? Verso di loro verranno presi provvedimenti? E quali?

In realtà loro non sono cuccioli! Hanno compiuto un anno, sono nati nel gennaio-febbraio del 2022 e, nel momento in cui i piccoli di orso compiono l’anno, scientificamente vengono chiamati “giovani”. Quindi oggi [aprile 2023] hanno 14/15 mesi. Due dei tre sono stati catturati con la mamma, ma sono stati subito rilasciati tutti in natura. Sono giovani, sono liberi e come tali rimarranno. Avendo superato l’anno di vita, hanno probabilmente imparato abbastanza da avere elevate probabilità di sopravvivenza, anche perché tra adesso e novembre 2023 avrebbero comunque abbandonato la madre. Quello che va fatto a questi giovani è lasciarli liberi ma tenerli come “osservati speciali” perché comunque hanno avuto una vita familiare particolare rispetto agli altri orsi. Per quanto riguarda JJ4, il parere del PACOBACE, che io condivido, è che l’orsa non venga rilasciata in natura in quanto problematica.

Ok. Stiamo arrivando verso la fine e torniamo per un attimo al nostro Paese.
È possibile convivere, in Italia, con gli animali selvatici e portare avanti progetti come Life-Ursus? Che tipo di strategie andrebbero prese per favorire la convivenza tra grandi carnivori come gli orsi e l’uomo? Andrebbe fatta anche una maggior sensibilizzazione o educazione agli abitanti e a chi vuole addentrarsi in boschi frequentati da animali selvatici?

La convivenza è possibile ma è un po’ ingenuo pensare che la natura faccia il suo corso, da sola. La compenetrazione tra natura e uomo in Europa è talmente elevata che è necessario agire attraverso la conservazione biologica e la gestione delle risorse naturali.  In particolare, per i grandi carnivori, la convivenza è possibile ma c’è bisogno di uno sforzo continuo che il progetto Life Ursus aveva messo in atto in maniera efficace e che andava potenziato nel 2002/2003 quando si è passati, troppo in fretta, ad una gestione “ordinaria”.

Io sono dell’opinione che la convivenza può e deve essere ricostruita attraverso i tre assi che stavano alla base del progetto: interventi gestionali, ricerca scientifica e informazione che, come dite voi, è molto importante.

Per finire, puoi darci delle tue considerazioni finali sul come vorresti finisse tutta la questione degli orsi in Trentino e sul comportamento da applicare quando un uomo si trova davanti un orso.

La questione degli orsi in Trentino non vorrei che finisse, ma che continuasse perché la convivenza è possibile. Vorrei, invece, che finisse presto questa isteria collettiva e che si tornasse a far parlare i tecnici. Loro potrebbero rimettere la situazione sotto controllo attraverso i tre assi detti prima. Per quanto riguarda gli incontri con gli orsi, ricordo che questi sono molto rari e le aggressioni ancora più rare. Per prevenire qualsiasi tipo di attacco o azione pericolosa da parte di questi animali, è sufficiente far percepire la propria presenza magari parlando ad alta voce lì dove la visibilità è scarsa. Questo riduce notevolmente la possibilità degli incontri con gli orsi.

Grazie mille Filippo! Davvero, ti ringraziamo per questa intervista molto interessante e che ha dato delucidazioni su alcuni punti. Infine, invitiamo tutti alla lettura dei libri di Filippo proprio sugli orsi in Trentino, “Sulla via dell’orso – un racconto trentino di uomini e natura” (Idea Montagna Ed.) e “Gli orsi delle Alpi, chi sono e come vivono” (Blu Edizioni).
I libri di Filippo Zibordi: "Gli orsi delle Alpi, chi sono e come vivono" e "Sulla via dell'orso- un racconto trentino di uomini e natura"

Per quanto il pensiero di ognuno di noi possa differire sotto alcuni punti di vista, è sempre importante far chiarezza sulle vicende e chiedere agli esperti. Questo è stato il nostro obiettivo nel cercare di affrontare un tema delicato e che fa storcere il naso a molti sul come è stata gestita la situazione e sulle sue conseguenze.

Da questa intervista si può vedere come non esista una “parte della ragione” ed una “parte del torto”, come ci siano diverse sfaccettature e che quindi non è tutto bianco o tutto nero. Noi esprimiamo la nostra vicinanza alla famiglia di Andrea Papi e ci auguriamo che questo tragico evento rappresenti non l’inizio di una caccia all’orso, ma un’opportunità per capire l’importanza di piani di gestione che prevedano una convivenza necessaria uomo-natura ed una maggiore sensibilizzazione o educazione della popolazione.

Greta L. Cerrone & Federica Mongera

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